Alluce valgo recidivo: come affrontare la paura del secondo intervento

alluce valgo recidivo

Può accadere che, a distanza di anni da un primo intervento all’avampiede, la patologia si ripresenti o si manifestino esiti secondari di natura dolorosa e disfunzionale. La soluzione oggi è nelle nuove tecniche chirurgiche, più affidabili e molto meno aggressive rispetto a quelle del passato.

Nell’esperienza quotidiana di uno specialista del piede capita di ricevere in visita pazienti che hanno già subito un intervento chirurgico presso altre strutture e che purtroppo hanno visto ripresentarsi nuovamente la patologia di cui soffrivano o stanno vivendo degli esiti post-operatori problematici.

L’aspetto psicologico, in questi casi, ha grande importanza. Si tratta di persone che, a distanza anche di pochi anni dalla prima operazione, ritrovano il coraggio di affrontare una visita con un nuovo ortopedico, già nella prospettiva di un probabile secondo intervento. E non è una cosa facile da accettare.

A questo va aggiunta la frustrazione dovuta a una precedente esperienza che li ha lasciati insoddisfatti e con una situazione più o meno irrisolta, la comprensibile diffidenza che potranno provare nei confronti della soluzione chirurgica, nonché una normale paura di riprovare ancora altro dolore e disagio.

Molti di loro si chiedono, legittimamente, cosa sia andato storto nella loro prima operazione. Cerchiamo allora di approfondire quali sono i possibili esiti dolorosi e disfunzionali di un avampiede già operato.

Cosa non ha funzionato nel primo intervento?

Solo un’accurata ricostruzione del singolo caso può rispondere veramente a questa domanda. Tuttavia è possibile individuare un trend abbastanza diffuso, riscontrabile sulla base dell’esperienza diretta in ambulatorio. Nella maggior parte dei casi, le persone che presentano un alluce valgo recidivo o altri problemi post-operatori, sono state trattate la prima volta con tecniche chirurgiche tradizionali piuttosto aggressive.

Questo tipo di interventi può portare, nel tempo, a sviluppare deformità secondarie dell’alluce, problematiche di sovraccarico metatarsale doloroso, altre patologie correlate come dita a martello o varie deformità – talvolta anche bizzarre – dell’avampiede.

Come mai? Molte delle tecniche chirurgiche tradizionali, utilizzate soprattutto negli anni scorsi, si basavano sull‘asportazione di interi segmenti ossei, con una conseguente destabilizzazione del corretto funzionamento dell’avampiede. Ciò può portare ad un appoggio scorretto del piede, ad un dolore cronico, all’insorgere di patologie secondarie e ad altre difficoltà nella vita di tutti i giorni.

Intervento mini-invasivo: una nuova speranza

Lo scetticismo verso l’idea di un nuovo intervento è un atteggiamento del tutto comprensibile in un paziente che ha sperimentato la chirurgia tradizionale con un risultato insoddisfacente o con un successivo peggioramento. Inoltre il ricordo del dolore post-operatorio e dei tempi di recupero lenti e faticosi è ancora lì, e non aiuta.

Quando, dopo una lunga riflessione, alcuni di questi pazienti si decidono ad effettuare un secondo intervento, scoprono meravigliati la semplicità delle nuove procedure chirurgiche mini-invasive utilizzate oggi e apprezzano con soddisfazione i benefici che questo nuovo approccio può avere anche su un piede già operato e afflitto da dolori e da deformità secondarie.

La chirurgia mini-invasiva percutanea del piede è una metodologia d’intervento moderna non aggressiva che permette di recuperare molto bene anche queste problematiche residue dovute a interventi precedenti realizzati con tecniche diverse.

La qualità dell’esito, il dolore post-operatorio minimo e il rapido ripristino funzionale del piede che si accompagnano alla tecnica mini-invasiva producono degli importanti benefici per il paziente operato, sia sul piano strettamente anatomico che psicologico.

Il migliore consiglio che può dare uno specialista è quello di affrontare a piccoli passi una situazione di recidiva e iniziare un nuovo percorso con gradualità.

Una prima visita ortopedica, supportata da esami diagnostici aggiornati, servirà a verificare con certezza lo stato della patologia e a capire quale soluzione effettivamente sarà la più indicata per risolvere, stavolta in maniera definitiva, la deformità dolorante del piede.

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